F. Nisticò, 2) A. Albano, 3) D. Pirritano*, 4) F. Zullo**, 5) L. Pedrelli***
Topic: Vulvodinia - Sindromi Disfunzionali dei Genitali – DAO Test – Istaminosi.
Abstract Scopo. Il lavoro si propone un inquadramento clinico della Vulvodinia come entità nosologica specifica in seno alle altre Sindromi Urenti dei Genitali; in modo particolare si compara il ruolo dell’istamina in tale sindrome e nell’emicrania (oltre che nelle sindromi cefalalgiche) per le analogie delle manifestazioni cliniche e per l’assenza di una standardizzazione diagnostico-teraputica. Ruolo del DAO-Test (test della Insufficienza dell’enzima DiAminoOssidasi). Possibilità di nuovi farmaci “specifici”.
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DEFINIZIONE e FISIOPATOLOGIA
Dopo l’esordio nel 1987,
epoca nella quale il dermatologo americano Peter Linch coniò il termine nosologico «Vulvodinia» (International Codex of Disease ICD 9)
da attribuire ad una condizione da lui riscontrata con una certa ripetitività clinica, si era giunti ad una definizione standardizzata che indicava la vulvodinia come
un disagio, spesso definito come dolore urente (bruciore) in area vulvare [in accordo con International Society for the Study of Vulvovaginal Disease (ISSVD)]
in assenza di segni visibili rilevanti o di qualche specifico disordine neurologico clinicamente identificabile. Tuttavia, più di recente (Aprile 2016)
è apparsa su “The Journal of Sexual Medicine” la nuova terminologia proposta da un Consensus fra le maggiori associazioni scientifiche di settore
presenti nel mondo (ISSVD, ISSWSH, IPPS and Other Specialist) che definisce inequivocabilmente la “Vulvodinia come un dolore vulvare che duri da almeno
tre mesi, senza una causa identificabile, e che può avere altri fattori associati”.
Tale definizione apre, chiaramente, vasti scenari di ricerca e di approccio clinico poiché stabilisce palesemente una distinzione fra dolore vulvare
causato da fattori ben definiti (infezioni, infiammazioni, neoplasie, neuropatie, traumi, cause iatrogene, deficit ormonali) e “un altro” dolore/bruciore/disagio
vulvare apparentemente senza causa evidente. E una ulteriore particolarità di quest’ultima definizione sancisce, per la prima volta, un termine temporaneo
di durata del sintomo (…at least 3 months).
Le donne affette da tale condizione morbosa riferiscono la sensazione di tagliuzzamenti o di ferite aperte e brucianti, perennemente, in corrispondenza
dell’introito vaginale, ovvero nell’area del clitoride, o ancora in corrispondenza della forchetta posteriore; inoltre, la malattia si presenta in una
intensità tale da rendere impossibile le comuni attività del vivere quotidiano, dal normale indossare la biancheria fino ad una completa vita di relazione
sessuata. Tutto ciò può arrivare, in casi estremi, a spingere al suicidio.
Tale quadro non è causato da infezioni (Candidosi, herpes, etc) né da infiammazioni (lichen planus, malattia immunobollosa, etc), non
da neoplasie (M di Paget, carcinoma a cellule squamose), e neanche da malattie neurologiche (neuralgia herpetica, compressione nervi
spinali, etc).
METODI:
Il Processo
La classificazione della
Vulvodinia è basata sul sito del dolore: se esso è generalizzato o localizzato; e se compare in forma provocata o spontaneamente, ovvero in forma mista.
Se la condizione non è estesa a tutta la vulva ma solo al suo vestibolo (introito vaginale, tra piccole grandi labbra), si parla di vestibulodinia;
e quando, invece, il corteo sintomatologico è localizzato solo sull’area clitoridea si parla di clitoridodinia. Delle varie forme, questa
più circoscritta al vestibolo è quella di gran lunga più frequente.
Il dolore/bruciore può essere avvertito spontaneamente, senza alcun contatto (vulvodinia spontanea) oppure essere provocata da un contatto
fisico (penetrazione durante il coito, indumenti stretti, speculum ginecologico, assorbente, etc.), nel qual caso si parla di vulvodinia provocata.
Spesso le due forme, spontanea e provocata coesistono.
La diagnosi si basa esclusivamente sull’anamnesi (sintomi molto evocativi) e sull’esame obbiettivo indirizzato alla ricerca della ipersensibilità
vulvare (swab test o test del cotton fioc) e all’eventuale ipertono deli muscoli pelvici (palpazione).
L’età di insorgenza è varia, sebbene la forma urente è quasi tipica delle giovani pazienti, mentre una forma tardiva è più verosimilmente legata a squilibri disendocrini che accompagnano la menopausa. L’insorgenza del bruciore urente vulvare è imprevedibile; tuttavia, dalle numerose raccolte anamnestiche, pare che la Vulvodinia possa comparire dopo eventi traumatici pelvi-genitali, in seguito a infezioni ricorrenti, come conseguenza dei molti farmaci utilizzati per la loro terapia, o anche per un loro prolungato uso topico, o infine come sequela di abusi sessuali. Sulle cause della Vulvodinia di è spaziato in moltissime direzioni, ipotizzando cause genetiche (anomalie embrionali), fattori autoimmuni, fattori ormonali, metaboliche (eccessiva escrezione di ossalati urinari) e, chiaramente, anche nessuna di tutte queste cause. Pertanto la eziologia di essa rimane ancora di natura indeterminata e, molto probabilmente, multifattoriale.
DISCUSSIONE
Data l’assenza (o, in rari casi, l’evanescenza) di segni obiettivi patognomonici della Vulvodinia, e data la sua comparsa anche in soggetti affetti da Sindrome del Dolore Pelvico Cronico - nei quali è stata identificata una causa di tipo psichiatrico - spesso le pazienti affette da Vulvodinia sono state etichettate come «malate di mente».
Probabilmente, uno dei principali motivi per i quali il tempo medio prima di giungere alla diagnosi è di circa 4,8 anni, durante i quali le pazienti sono costrette a peregrinare da uno studio medico all’altro, consultando circa 8 specialisti, e registrando un incremento significativo di tale quadro associato a Sindrome Depressiva. Tuttavia, in numerosi studi clinici è stato analizzato il profilo psicologico di donne affette da Vulvodinia, e già nel 2005 l’ISSVD ha assodato che la Vulvodinia non può essere prioritariamente considerata una condizione psicopatologica. Eppure, proprio da tali osservazioni, originano gli studi clinici nei quali appare molto suggestive l’analogia esistente tra la comparsa e la capricciosità clinica della Vulvodinia e alcuni tipi di “Headache” (cefalea). In particolar modo con l’Emicrania, specie nella forma mediata dall’istamina, e ciò in riferimento agli attacchi critici di cui soffrono i pazienti neuropatici se paragonati alle recrudescenze inattese di Vulvodinia in concomitanza con l’ingestione di particolari cibi (o con l’esposizione ad alcune sostanze esterne). In questi lavori scientifici è stata analizzata la fisiopatologia del dolore vulvodinico e assimilato ad un tipo di dolore definito “neuropatico”. Infatti nel dolore di tipo neuropatico lo stress psicologico è in grado di indurre una risposta infiammatoria simile a quella prodotta da un trauma o da una infezione (Black 2002); ed episodi cronici di stress possono dare origine ad una malattia infiammatoria cronica (aterosclerosi, artrite, asma) [Black 2002]. n molti casi l’analogia con numerose patologie dolorose croniche dell’area pelvi-genitale (come la Cistite Interstiziale, la Sindrome del Dolore Pelvico Cronico, la Sindrome della Vescica Dolorosa, l’Appendicopatia Neurogena, la Sindrome da Prostatite Cronica Categoria IIIa detta Sindrome Dolorosa Pelvica Cronica Infiammatoria o CPPS, la Coccigodinia, e altre ancora) pare indicativa del fatto che la patogenesi sia mediata da elementi tipici dell’infiammazione neurogena con comunicazione bidirezionale fra SNC e Sistema Immunitario, nonché con l’utilizzo comune di neurotrasmettitori (primari e secondari) e kinasi. Inoltre è stato istologicamente confermato il coinvolgimento di fibre sensitive di piccolo calibro, amieliniche, capsaicino sensibili (fibre C) responsabili della nocicezione. La stimolazione delle fibre C induce la liberazione di Sostanza P e di una proteina (regolata geneticamente) che modula la calcitonina e i canali del calcio (CGRP o Calcitonin Gene Related Peptide). Oramai si conoscono bene molte delle sostanze che entrano in gioco nella modulazione dello stimolo doloroso: si va dalla Bradichinina ai Leucotrieni, dal PAF (Fattore Attivante le Piastrine) e alle Prostaglandine. In ogni caso, su tutte pare prevalere il ruolo centrale dell’Istamina e del Nerve Growth Factor (NGF), oltre dell’Histamine Releasing Factor, che risulterebbe essere il mediatore finale. Tutto avverrebbe attraverso l’attivazione ulteriore dei canali cellulari trans-membrana per il Calcio, e cioè dopo l’attivazione dei Mastociti a livello del derma e di quella matrice che attualmente viene definita come “la sensory web”, vale a dire la rete microneurale del derma e ipoderma ove sono distribuite una serie di terminazioni nervose (recettori di Krause, Corpuscoli di Pacini, fibre C, ?).
In questo contesto, dunque, si attiverebbero i mastociti carichi di granuli di istamina.
Numerosi studi recenti sulla Vulvodinia, anche di tipo ultrastrutturale, hanno descritto specifiche alterazioni dei recettori Vanilloidi (del
tipo TRPV1) a livello cutaneo-mucoso. Il recettore vanilloide è quello direttamente rispondente allo stimolo indotto dalla capsaicina, la proteina
contenuta nel peperoncino piccante e responsabile della sensazione di bruciore urente. È noto, altresì, che tali recettori TRPV1 presente sui mastociti
sono direttamente responsabili della degranulazione delle vescicole di istamina; non solo, pare sia stata isolata una proteina (la PACAP: Pituitary
Adenilate Cyclase Activating Polypeptide) che agirebbe in modo induttivo su tutte le sostanze algogene sopramenzionate. Sappiamo, inoltre, da studi
condotti su donne affette da Endometriosi e altre sindromi pelviche dolorose croniche, che un numero elevato di mastociti femminili esprimono recettori
estrogeno positivi (Bjorling 2001) e che già a livello embrionale esiste un sinergismo fra estrogeni e i recettori per l’NGF, persistente poi nell’età
adulta con una up-regulation sull’azione del NGF e sulla neuroplasticità.
Design and Synthesis of new Transient Receptor Potential Vanilloid Type-1 (TRPV1) Channel Modulators: identification, molecular modeling analysis,
and Pharmacological Characterization of the N-(4-Hydroxy-3-methoxybenzyl)-4-(thiophen-2-yl)butanamide, a small molecule endwed with agonist TPRV1 Activity
and protective effects against oxidative stress.
Tutta questa serie di considerazioni ha consentito di approntare una sorta di protocollo terapeutico sulla Vulvodinia (in parte come è avvenuto con
il Protocollo Stanford in riferimento alla sintomatologia dolorosa cronica pelvica), e ricorrendo in maniera sequenziale e graduale all’uso di
farmaci per via sistemica, per via loco-regionale, e mettendo in atto anche una serie di modificazioni dello stile di vita e utilizzando altre terapia
ancillari.
A livello sistemico sono stati perciò impiegati farmaci antidepressivi come i triciclici (imipramina e amitriptilina) e farmaci inibitori
della ricaptazione della serotonina (fluoxetina e citalopram) che inibiscono la ricezione dello stimolo nocicettivo a livello del SNC; e ancora,
gli antagonisti dell'istamina (H1 antagonisti) come l'idrossizina cloridrato che, oltre all'azione centrale, hanno la capacità di contrastare
la reazione flogistica tissutale, nonché i farmaci antidolorifici di diversa capacità e meccanismo d’azione (dal Paracetamolo al Tramadolo).
A livello locale, invece, sono comunemente usati prodotti (idrofili, per la maggior parte, rispetto a quelli lipofili) a base di anestetici locali,
gel o altri medicamenti idratanti, prodotti a base di estrogeni (per ripristinare le proprietà naturalmente antinfiammatorie
della mucosa vaginale) e perfino preparati ansiolitici e antidepressivi trans-vaginali (!) sul cui meccanismo d’azione ci sono pareri
discordi.
La terapia, ovviamente, è multifattoriale e comprende le variazioni dello stile di vita, il ricorso a terapie riabilitative locali per annullare
l’ipercontrattura della muscolatura pelvi-perineale, la rieducazione (rimodulazione) della percezione termo-tattile, la riduzione dell’attività fisica
stressante, l’allontanamento di condizioni psico-relazionali ad alto impatto emotivo e stressogeno, e una dieta appropriata. In relazione a quest’ultimo
aspetto, è emersa la necessità di evitare una serie di alimenti (fra i più svariati, che possono andare dal caffè al the, al cioccolato o altri dolciumi,
ai derivati dei lieviti, agli alcoolici, ai cibi ricchi di ossalati, e così via).
Per quanto sia stato dimostrato (e nei vari Forum vi si ritrovano le testimonianze) che, dopo una corretta diagnosi e un accurato percorso terapeutico-riabilitativo-comportamentale)
è possibile guarire dalla Vulvodinia, per la maggior parte delle pazienti tale traguardo appare come una “chimera”. Infatti, perfino nel gruppo delle
donne non più affette dai disturbi urenti permane uno stato di elevata attenzione all’area genitale: tale stato emotivo è supportato dall’ansia che una
possibile ricomparse dei sintomi, magari in una forma più lieve o meno aggressiva, sia sempre in agguato.
Ciò in relazione alle numerose recidive (di varia entità) cui tutte la pazienti vanno incontro durante la loro vita; e soprattutto, come conseguenza
di eventi traumatici non-genitali, di regimi alimentari sbagliati, di “eccessi” sessuali, o come conseguenza di eventi infettivo-infiammatori urinari
o colo-rettali, o non ultimo, in associazione a stress.
Da tempo, infatti, è nota l’associazione fra l’eccesso di stress e la conseguente neuromodulazione catecolaminergica in grado di causare altre e più
gravi conseguenze stenosanti sul microcircolo (vedi “Cardiomiopatia di Taku-Tsubo”). Anche nella Vulvodinia le condizioni stressanti hanno
dimostrato una capacità di generare dolore urente. Ma non si tratta solo di stress!
Cionondimeno, l’associazione delle recrudescenze o ricomparse di Vulvodinia (o anche di una sola delle sue manifestazioni, in forma moderata) dopo
l’assunzione di alcuni cibi ha indotto gli specialisti a ipotizzare un meccanismo istamino-mediato, esattamente come talune sindromi food-induced che
si concretizzano nella “Emicrania food-induced istamino mediata” (così definita in uno dei 165 tipi di cefalea). Si tratta di una istaminosi
indotta da cibo, e non di una forma di allergia [Faculty of Nutrition and Bromatology at University of Barcelona (E), May 2010].
È dunque possibile che, come per tale forma di emicrania food-induced, anche per le recrudescenze della Vulvodinia ci sia un ruolo centrale dell’istamina
o di uno dei suoi metaboliti?
Sappiamo, infatti, che
l’istamina è uno dei principali neuromediatori sia a livello sinaptico (SNC) che post-sinaptico (regolazione organi periferici). Il suo
metabolismo origina dall’aminoacido Istidina che viene trasformato in istamina mediante decarbossilazione da parte dell’enzima istidina-decarbossilasi.
Numerosi studi hanno posto l’attenzione sui processi di immagazzinamento dell’istamina nelle cellule che la rilasciano come mediatore, quali appunto i
mastociti, i basofili e le cellule enterocromaffini dell’intestino. Così come pare che i granuli di istamina nel SNC sembrano essere associati all’area
dell’Ipotalamo da dove hanno origine numerose proiezioni verso le diverse aree cerebrali. Ciò renderebbe ragione del ruolo di neuromediatore centrale
dell’istamina nello stato di veglia, nella memoria, nell’appetito e in diverse altre funzioni.
L’istamina, quindi, viene rapidamente inattivata mediante ossidazione del gruppo aminico (-CH2NH2) attraverso l’enzima Di-Amino-Ossidasi (DAO)
diventando Acido Imidazol-Acetico ed eliminato attraverso le urine. Tuttavia una quota di istamina, pur non essendo il substrato specifico per la MAO
(mono-amino-ossidasi) viene anch’essa dapprima metilata ad opera di una metil-transferasi e successivamente degradata dalla MAO in acido N-metil-imidazolacetico,
anch’esso rintracciabile nelle urine.
Da queste primarie considerazioni è partito un gruppo di ricercatori spagnoli (Dr. Izquierdo and Dr. Akdal – Dipartimento di Nueroscienze – Catalunia
- España) che ha presentato nel 2013 al XXI Congresso Mondiale di Neurologia a Vienna (WNC) un lavoro su 147 pazienti affetti da «Emicrania & Obesità»
e con attacchi acuti di emicrania (food-induced e mediati dall’istamina) nei quali è stato somministrata una terapia addizionale di
DAO. Lo studio ha dimostrato due fattori importanti, osservando almeno due fenomeni eclatanti: a) esiste una netta correlazione fra deficit di DAO e comparsa
di Emicrania food-induced; b) la somministrazione aggiuntiva di DAO, oltre che sicura, determina una netta riduzione della durata della crisi (quasi una
scomparsa dell’emicrania) ed una drastica progressiva tendenza alla riduzione degli eventi critici.
Queste considerazioni preliminari aprono una discussione riguardo un possibile ruolo giocato dall’istamina nella Vulvodinia, e segnatamente sulla modalità
di recrudescenza del disagio vulvare nelle pazienti dopo assunzione di a) cibi ricchi (e liberatori) di istamina (pesce azzurro, vari
tipi di formaggi, prodotti da lievitazione, the, insaccati, pomodoro, ketchup, prodotti da fermentazione, ecc.) o anche b) alimenti in grado di aumentare
il rilascio di istamina (cioccolato, fragole, agrumi, crostacei, spezie, frutta secca, prodotti conservanti alimentari come i benzoati, mirtillo
rosso, e altri), e infine l’assunzione di c) alimenti in grado di inibire l’attività della DAO.
ESPERIENZA
PRELIMINARE
Negli ultimi tre anni numerose donne di età compresa fra 21 e 75 anni, afferenti al servizio di Urodinamica e Uroriabilitazione, hanno manifestato
come disturbo prioritario “bruciore-dolore urente” al Vestibolo o nell’area peri-clitoridea e meatale, in assenza di evidenza obiettiva, in accordo con
il corteo sintomatologico che identifica la Vulvodinia. Tutte le pazienti sono state inquadrate clinicamente attraverso un percorso pelvi-perineologico
e uro-ginecologico clinico e funzionale, l’applicazione dello swab-test e il ricorso alle manovre già prese in considerazione nella parte preliminare
di questo lavoro.
Nei casi esaminati era presente una iper-reattività a prodotti medicamentosi, a detergenti, e in relazione all’assunzione di alimenti che, in tutti
i casi, sembravano legati all’istamina o alla sua increzione.
Ad scopo “esemplificativo”, è stato individuato un campione di 15 pazienti, ed è stato loro somministrato un semplice (quanto intuitivo) questionario.
Nelle domande veniva posto il quesito di identificare fra una serie di alimenti comuni se ve ne fosse stato uno in particolare al quale esse stesse potevano
attribuire la causa (per associazione) del loro disturbo, nel senso di individuare in un arco di tempo ristretto (ultimi 3 mesi), se uno o più episodi
di vulvodinia o di uno stato di disagio pre-critico potesse essere messo in relazione con l’assunzione contestuale di un cibo preciso (24-48 ore dopo
il pasto). In 1 solo caso, si è scelto di formulare le stesse domande ad una paziente affetta da ipertono del Pavimento Pelvico (associato a Sclerosi
Multipla) e con ritenzione cronica d’urina che aveva riferito “dolori” in area pelvica.
RISULTATI E CONSIDERAZIONI
12 di queste pazienti (80 %) hanno dichiarato di aver associato uno o più episodi di dolore urente dopo aver mangiato cioccolato, e aver assunto
talvolta anche prodotti di lievitazione; 2 di esse (6,6%) lo hanno associato ad ogni assunzione di Vino Bianco (prodotto di fermentazione
ricco di istamina) e Peperoncino (che attiva il recettore Vanilloide); solo in 1 caso (che statisticamente rappresenterebbe circa il 6 %) –ed è la paziente
affetta da Sclerosi Multipla - si è avuta una netta risposta negativa, senza cioè nessuna associazione con il cibo.
In tutti i casi esaminati è apparsa suggestiva l’associazione dell’evento acuto doloroso con l’assunzione di un alimento che, per ovvie ragioni, ha
comunque acquisito nel vissuto personale una valenza negativa (che si somma a quella di timore/ossessione per molte altre attività) tale da condizionare
una normale vita sociale.
In nessun caso, tuttavia, è stato possibile eseguire un DAO-Test, cioè un dosaggio diretto dell’attività dell’enzima Di-Amino-Ossidasi che dimostrerebbe
un suo ruolo nella genesi del dolore vulvodinico food-induced.
Esistono studi che dimostrano, ad esempio, che durante la gravidanza l’attività della DAO incrementi di circa 500 volte (per opera della placenta,
o dei reni fetali) e ciò spiegherebbe il drastico calo di emicrania nelle donne in gravidanza.
Non è semplice, tuttavia, ritrovare laboratori nei quali venga effettuato un test dell’attività sierica della DAO. Nella nostra Azienda Ospedaliera
è stata coinvolta la Responsabile del Laboratorio di Chimica Clinica la quale, operativamente, si è messa alla ricerca di ciò che esiste in commercio.
Il risultato è stato del tutto negativo. In Italia è quasi impossibile rintracciare un Centro dove dosare l’attività del DAO. In commercio viene pubblicizzato
un “MIGRATEST”® in grado di dosare su 1 ml di siero l’attività del DAO dando come valori normali una «Normal DAO Activity
= 80 HDU/ml» [Histamine Degradatin Units].
È stato, perciò, richiesto un secondo test: si intendeva indagare, cioè, in maniera indiretta, l’attività di degradazione dell’istamina. In pratica
si è ricercata la presenza dei due principali cataboliti dell’istamina a livello urinario, vale a dire l’acido imidazol-acetico e in misura minore anche
l’acido N-metil-imidazolacetico. Sempre in collaborazione con il nostro centro di analisi chimico-cliniche si è appreso che tale dosaggio può avvenire
con indagini di cromatografia a gas, un procedimento abbastanza noto da tempo, seppur indaginoso. Tuttavia, anche in questo caso, la Responsabile del
Laboratorio di Chimica-Clinica ha dovuto constatare che, al momento, non esiste (o non è disponibile) un kit già in uso per dosare in maniera indiretta
l’attività della DAO e, in definitiva, l’attività più o meno patologica dell’istamina.
Tutte le pazienti sono state sottoposte alla terapia oggi più comunemente accettata dalla comunità scientifica (anche in accordo con il Protocollo Stanford)
e basata su farmaci ad azione antidepressiva-miorilassante, prodotti per idratazione locale, ansiolitici, terapia locale con manipolazioni, revisione
dello stile di vita e restrizioni alimentari.
In una iniziale revisione sulla fisiopatologia del bruciore vulvodinico, si è posta l’attenzione sui meccanismi che l’azione terapeutica locale (manipolazioni).
In particolare, il ricorso alle manipolazioni vulvo-vestibolari, secondo le diverse modalità richieste dalla sede specifica interessata, non dovrebbe
essere considerata esclusivamente atta a contrastare l’ipertono della muscolatura pelvi-perineale che accompagna stabilmente la Vulvodinia. È pur vero
che proprio l’ipertono muscolare di tutti i gruppi interessati (muscolo pubo-coccigeo, m. ileo- e m. ischio-coccigeo, m. piriforme, m. otturatorio, m.
costrittore dell’ano, m. muscolo costrittore della vagina – correlato con le crura clitoridee e coinvolgente parte della parete laterale a ridosso dell’introito)
rende ragione di una sintomatologia associata al bruciore vulvodinico, e più precisamente al fatto che l’ipercontrattura genera gli spasmi arteriolari
con le successive micro-ipossìe zonali. A ciò consegue l’attivazione dei nocicettori; così il processo si re-innesca, e si attua una auto-amplificazione
dell’algoritmo dolorifico.
CONCLUSIONI
Perché, dunque, una manipolazione dovrebbe avere un altro effetto oltre alla tanto ricercata decontrattura?
Recenti studi condotti
sul “Prurito” (P. Santoianni, “Prurito: Fisiopatologia e studi sul controllo”, 2009 – Istituto di Dermatologia, Università Federico
II – Napoli) - sintomo da sempre associato non solo alle Sindromi Dolorose Genitali, ma anche alle manifestazioni allergiche, o come prodromo del dolore tout-court -
hanno dimostrato che, contrariamente a quanto finora ritenuto, il prurito non viene trasmesso come una versione sub-liminare del dolore (Teoria dell’intensità
cello stimolo) in quanto non esiste solo una via afferente di trasmissione del prurito stesso.
Infatti, mentre da sempre si era ritenuto che a seconda dell’intensità dello stimolo attivante venissero reclutati alcuni nocicettori (e che, quindi,
essi attivassero il prurito prima di attivare il dolore), è stato ora dimostrato che il prurito viaggi verso il SNC attraverso vie neuronali
proprie, con propri recettori definiti “pruricettori” e distinti dai nocicettori, pur continuando ad esserci profonde interrelazioni fra i due sistemi.
Proprio grazie a queste scoperte è stato individuato il meccanismo per il quale si proverebbe sollievo al “grattamento” durante un attacco di prurito.
I ricercatori hanno individuato una sorta di regolazione del messaggio neuronale che funzionerebbe come inibizione selettiva asso-assonica: si attiva
la via del prurito che inibisce quella del dolore; e si attiva la via del dolore che inibisce le afferenze del prurito.
Se dunque esiste una simile regolazione fra vie neurologiche nelle forme di prurito neurogeno, allora è ipotizzabile che l’azione terapeutica della
manipolazione, oltre al più noto effetto decontratturante sulla muscolatura alla quale viene applicata, oltre alla ri-modulazione sensoriale della percezione
termo-tattile (quasi una nuova “ri-educazione” recettoriale), si possa anche sommare una auto-regolazione sulla trasmissione afferente indotta dalla stimolazione
tattile terapeutica. In altre parole, appare verosimile che la manipolazione delle aree vestibolari o delle regioni coinvolte nel dolore vulvodinico possa
“spostare” (quasi distrarre) l’input esterocettivo dalla via del dolore a quella della trasmissione termo-tattile normale per attivazione di una regolazione
asso-assonica [come per il prurito].
Le osservazioni cliniche sin qui esposte aprono una serie di scenari di studio e di riflessioni. È lampante la necessità di effettuare ulteriori studi
clinici più efficaci, in doppio cieco, con la creazione di un valido database su scala internazionale e interdisciplinare. È altresì necessario divulgare
le attuali conoscenze riguardo la Vulvodinia e le altre Sindromi Dolorose Genitali, soprattutto in ambito medico, laddove è presente una diffusa disinformazione
specifica (si ricorda che il tempo medio prima della diagnosi di Vulvodinia è superiore a 4 anni!).
Lo scopo di questo lavoro è quello di stimolare la comunità medico-scientifica ad un confronto clinico e metodologico su una patologia abbastanza diffusa
(dati recenti stimano la comparsa di 1 caso di vulvodinia ogni 7 donne) e, comunque, altamente invalidante. Non esiste uniformità di approccio alle patologie
disfunzionali dell’area Genito-pelvi-perineale; non esiste la possibilità di poter ricorrere ad un test sull’efficacia dell’azione della Di-Amino-Ossidasi
(DAO-Test), né un test ubiquitariamente presente per il dosaggio dei cataboliti dell’istamina (dosaggio urinario dell’Acido Imidazol-acetico,…)
Come cambierebbe la storia clinica di moltissime donne affette da disturbi (distress!) genitali se potesse essere messo in atto un test che dimostri
non solo una elevata sensibilità all’istamina, ma soprattutto un basso effetto dell’enzima che la degrada (DAO)?
E ancora, come muterebbe l’approccio terapeutico, in particolar modo quello farmacologico attualmente in uso con numerosi farmaci attivi sul SNC, se
venisse messa a punto una terapia “addizionale” di DAO che, come per l’emicrania, potesse inibire la cascata di eventi che conduce alla Vulvodinia?
Potrebbe un test “chimico” affiancare una valutazione clinica (Swab-test) e dare concretezza e dignità ad una condizione patologica invalidante e,
per certi versi, carica di pregiudizi soprattutto nella categoria medica?
Da ultimo, un nuovo settore di interesse potrebbe essere quello di un trattamento topico con farmaci in grado di inibire l’azione devastante dell’istamina
a livello vulvare (nuovi anti-istaminici H1-specifici) al fine di modificare, se possibile, il trattamento della “sindrome della vulva urente” che, come
ben faceva intuire la nomenclatura del XIX secolo, stigmatizza l’esistenza di persone sofferenti non solo nel corpo ma, più che evidentemente, anche nella
loro esistenza.
Bibliografia